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Prima della pausa estiva il ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, ha presentato il disegno di legge che riforma i contratti della ricerca, siano essi universitari ma anche previsti da enti pubblici come il Centro nazionale delle ricerche (Cnr).

La promessa di Bernini è superare l’attuale “inferno del precariato”, ma non mancano le critiche di chi vede nel provvedimento l’esatto contrario, ovvero ancora meno tutele e prospettive.

COSA HA DETTO BERNINI

“Si tratta di una vera e propria ‘cassetta degli attrezzi’ a disposizione delle università, degli enti pubblici di ricerca e delle istituzioni dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam), con strumenti differenziati a seconda dei diversi livelli di ricerca e con tutele crescenti via via che si avanza nel percorso accademico”, ha dichiarato Bernini durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri.

“Da settembre – ha aggiunto – partirà un confronto con le parti sociali e attiveremo al Mur un osservatorio, di cui faranno parte tutte le rappresentanze coinvolte, per valutare l’impatto di queste norme nei prossimi tre anni”.

OBIETTIVI DEL DDL

Come si legge sul sito del governo, “le norme sono volte a riformare, nell’ambito del percorso universitario e della ricerca, il cosiddetto ‘pre-ruolo’, ossia quel segmento che intercorre tra il completamento del percorso di formazione superiore e l’avvio dell’attività di ricerca individuale, con l’obiettivo di rendere il sistema di reclutamento maggiormente rispondente alle attuali esigenze del mondo della ricerca”.

Il provvedimento mira inoltre “a superare l’imbuto che si è determinato, in base alla legislazione vigente, all’accesso ai canali del pre-ruolo per la carriera accademica e della ricerca e a valorizzare i giovani. Per questo, si introducono tre nuove e distinte tipologie contrattuali (contratti post-doc; borse di assistenti all’attività di ricerca; contratti di professore aggiunto), attivabili nel settore della ricerca universitaria, dell’Afam, delle Scuole universitarie superiori e degli enti pubblici di ricerca”.

COLLABORAZIONI PER GLI STUDENTI

Tra le novità introdotte dal disegno di legge, c’è la possibilità per gli studenti universitari, sia dei corsi di laurea triennale che magistrale, di svolgere attività di assistenza alla ricerca per un massimo di 200 ore all’anno, per le quali potranno ricevere un compenso massimo di 3.500 euro annui, che si può aggiungere alle altre collaborazioni ai servizi universitari.

BORSE DI ASSISTENZA JUNIOR E SENIOR

Il dichiarato obiettivo di Bernini di “colmare la lacuna che il sistema della ricerca ha, da un punto di vista contrattualistico e borsistico, dal momento che gli assegni di ricerca non saranno più prorogati dopo il 31 dicembre 2024” viene affrontato dal ddl con l’introduzione di due nuove tipologie di “borse di assistenza alla ricerca”.

Una, denominata “junior”, è dedicata ai laureati magistrali o a ciclo unico. L’altra, detta “senior”, è destinata ai dottori di ricerca. In entrambi i casi la durata va da un minimo di un anno a un massimo di tre e il trattamento economico sarà definito con un decreto del ministero dell’Università e della Ricerca (Mur).

Inoltre, queste posizioni sono incompatibili con qualsiasi altro rapporto di lavoro subordinato a soggetti pubblici o privati, con assegni di ricerca in altre università, istituzioni o enti pubblici di ricerca, e con le borse di dottorato.

CONTRATTO POSTDOC

Un’altra novità è la creazione del contratto postdoc, attraverso cui i dottori di ricerca potranno svolgere da uno a tre anni attività di ricerca, collaborare alle attività didattiche e alla terza missione delle università, con “un trattamento economico equiparabile a quello dei ricercatori confermati a tempo definito”, secondo quanto dichiarato da Bernini.

LA (DISCUSSA) FIGURA DEL PROFESSORE AGGIUNTO

L’introduzione della figura del professore aggiunto è sicuramente la novità che ha sollevato le maggiori critiche. Il disegno di legge infatti afferma che si tratta di una figura esterna che, con contratti di durata variabile tra tre mesi e tre anni, potrà svolgere attività di didattica, ricerca e terza missione.

Il nodo cruciale è che sarà selezionato tramite chiamata diretta dal Consiglio di amministrazione, senza una valutazione formale da parte dei Dipartimenti o delle commissioni accademiche. Il Senato Accademico verrà solo consultato, ma il suo parere non sarà vincolante.

Dalla tabella ministeriale in cui viene sintetizzato il ddl si legge che per la procedura di reclutamento avviene tramite “manifestazione di interesse e conferimento diretto”. Inoltre, è l’unica figura per la quale non viene indicato il trattamento economico.

LE CRITICHE DELLA FLC CGIL

“La ricetta della ministra Bernini: togliere i soldi destinati alle assunzioni, moltiplicare il precariato e dichiarare di superarlo”. Questa, in sintesi, l’opinione della Flc-Cgil, per la quale “si sta disegnando una università sempre più piccola, povera, socialmente selettiva e con buona parte del personale indegnamente sfruttato e senza diritti”.

Oltre alle critiche alla figura del “professore aggiunto”, il sindacato lamenta che il nuovo contratto postdoc a tempo determinato è “sostanzialmente simile come inquadramento ma di più breve durata” di quello già previsto dalla cosiddetta riforma Verducci.

Per quanto riguarda invece le borse di assistenza, hanno “inquadramenti simili agli assegni” e mancano “di riconoscimento di un reale rapporto di lavoro”. Inoltre, potrebbero non essere sempre assegnate attraverso bando e valutazione comparativa dei candidati, ma anche con conferimento diretto su proposta del Coordinatore scientifico del progetto di ricerca. “Altro che valorizzazione del merito e competenze – denuncia la Flc-Cgil -, si cancellano le valutazioni comparative (i concorsi), ritornando a forme di assistentato di baronale memoria che non si vedono più da oltre 40 anni”.

Infine, il sindacato ricorda che proprio in queste settimane, nella legge di conversione del DL 71/2024, si prevede di spostare le risorse per le nuove assunzioni per tentare di colmare il taglio di 500 milioni di euro al Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) 2024.

LA PAROLA AI DOTTORANDI

Ma cosa ne pensano i dottorandi, ovvero i protagonisti della riforma? “Rappresenta un’ulteriore proliferazione delle forme di precarietà che caratterizzano la vita accademica”, è il commento schietto di Davide Clementi, dottorando in Diritto comparato all’università di Macerata e rappresentante dell’Associazione dottori e dottorandi italiani (Adi). Insieme a Rosa Fioravante, segretaria della stessa associazione, ha rinominato il disegno “Ddl Umiliazione della ricerca”.

“L’assegno di ricerca era una figura che doveva essere superata dalla legge 79 del 2022, approvata dal governo Draghi, che prevedeva su volontà dell’allora ministro Messa un’unica figura pre ruolo di contrattista di ricerca. Questo contratto – spiega – avrebbe dovuto unificare le figure preesistenti, dando al giovane ricercatore tutte le tutele del contratto nazionale della ricerca. Il governo Meloni appena insediato ha prorogato invece gli assegni di ricerca, ostacolato la contrattazione in sede Aran [Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, ndr], e ora di fatto mette in cantina quel contratto, introducendo nuove figure che vanno ad aumentare il precariato”.

Clementi ricorda infatti che “i sistemi tendono a usare tutte le flessibilità che hanno a disposizione”: “La legge Gelmini prevedeva un massimo di 11 anni di precarietà prima dell’ingresso in ruolo. Il sistema si è ‘adagiato’ su questa soglia massima andando persino oltre: oggi la precarietà dura in media 12 anni e si vince un posto da ricercatore a tempo determinato di tipo B (il viatico per diventare professore universitario, ndr) in media a 41 anni di età. Il nuovo sistema allontana ulteriormente questo approdo”. Che ora potrebbe arrivare dopo 15 anni.

Anche l’idea di coinvolgere gli studenti per fare ricerca non è ben vista: “Il rischio è che diventino stagisti sfruttati e malpagati, che per 3.500 euro l’anno al massimo [una “paghetta” in una riforma “imbevuta di paternalismo”, ha denunciato Clementi al manifesto, ndr] faranno il lavoro effettivo dei ricercatori che le Università non potranno pagare a causa della mancanza di risorse”.

Mentre gli assistenti junior e senior rappresentano “lo spacchettamento del vecchio assegno di ricerca, più che il suo superamento”.

Infine, il professore aggiunto. Per Clementi è tutto il contrario dei proclami sullo smatellamento del baronato: “Non si attacca il baronato dando ancora più potere alle corporazioni accademiche e creando regole ancora più opache per i bandi di concorso”.

LA VOCE DEL RETTORE

Tra i pochi a essere meno severi con la riforma c’è il rettore dell’università degli studi di Napoli l’Orientale, Roberto Tottoli, il quale vede “positivamente la duttilità nella contrattistica” ma se proprio dovesse fare un appunto semplificherebbe il numero di figure professionali e chiarirebbe quelle in atto. Tuttavia, non nasconde i timori per la tenuta economica delle università nei prossimi anni: “Bisognerà aumentare le risorse a disposizione e la possibilità di spenderle”.

Per Tottoli il disegno di legge risponde all’obiettivo “di superare l’impasse nei confronti del vecchio contratto di ricerca, rimasto inattuato perché, pur rispondendo alle richieste dell’Ue di maggiori garanzie, era un po’ rigido”.

Il rettore difende anche il cosiddetto professore aggiunto perché “buona parte delle offerte didattiche sono sostenute da contratti di ricerca, che in alcuni atenei sono pagati simbolicamente, e che passano da una trafila burocratica complessa tale per cui se uno dei contrattisti lascia, bisogna rifare un bando”.

IL SILENZIO DELLA CRUI

Come osserva Repubblica, non si è invece pronunciata sulla riforma la Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), “sia perché lanciata da Ferruccio Resta, ex presidente della Conferenza, sia perché la precarizzazione dei ricercatori e la mancata operatività del contratto di ricerca farà risparmiare denaro ad atenei che iniziano a boccheggiare”.

APERTI A MODIFICHE?

Ai dottorandi, ricercatori e sindacati che a settembre promettono di dare battaglia al provvedimento il ministro Bernini sembra lasciare una porta aperta al confronto: “Tutto è migliorabile, soprattutto senza gli occhiali del pregiudizio. Noi siamo pronti a confrontarci su quella che già ci sembra un’ottima legge. Avevo anticipato i contenuti ai sindacati e abbiamo preferito il disegno di legge perché si aprisse un dibattito. […] L’approvazione in Consiglio dei ministri è un inizio, non una fine. Già da settembre ci sarà un confronto con tutte le parti interessate, sia in Parlamento che al Mur”, promette Bernini.

 

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