diFernando Pellerano
Sono 44 le proposte presentate e 100mila euro i fondi distribuiti: si va dai corsi ai podcast, dai testi delle canzoni ai video
Xa vut dalla vetta? Centomila euro per tenere in vita i dialetti della via Emilia. La risposta arriva dalla Regione. Se l’emorragia dei dialetti non si può più fermare, almeno si tuteli e si valorizzi quello che è stato tramandato e si provi a divulgare il divulgabile. È questo l’obiettivo del finanziamento regionale che ha premiato 20 dei 44 progetti presentati da associazioni, centri culturali e realtà che tutto l’anno sono impegnate su questo fronte. Il patrimonio culturale, civile e storico di questa varietà di lingue (che può cambiare anche da paesino a paesino e da rione a rione) è immenso. La realtà è che a parlare il dialetto sono in pochissimi, tutti anziani. È in casa, in famiglia che non lo si pratica più. Da decenni. E quindi neppure sotto i portici, nei bar, nei luoghi di ritrovo.
I progetti
Il tessuto sociale, la struttura familiare, le provenienze: nulla è come prima. Le famiglie ‘tutte bolognesi’ sono rarissime. Aggiungiamo anche la passata demonizzazione del dialetto, culturale e statuale. I giovani masticano qualcosa attraverso lo slang che però ormai attinge più all’inglese che al dialetto. E così sopravvivono frasi e frasette, battute, veloci modi di dire, nulla di più: una conversazione intera in dialetto è più che rara.
E allora entrano in campo storici, linguisti, studiosi e artisti che ancora lo utilizzano, tramandandolo e spiegandolo un po’. Fra questi Andrea Mingardi che non a caso ha presentato uno dei 20 progetti (5 mila euro di media) premiati dalla Regione: 5 sono su Bologna (Fondazione Entroterre, Unione Reno Galliera, Fondazione Rocca di Bentivoglio, Associazione culturale Il Ponte della Bionda e Associazione Fu.Ga.Lab di Mingardi), 4 di Rimini, 3 di Parma e Ravenna, 2 di Ferrara e Reggio Emilia e 1 di Piacenza. «Vogliamo salvaguardare il dialetto con progetti che coinvolgano anche i giovani, che nello scambio con gli anziani possono assorbire, oltre a una parlata antica, anche la memoria di una identità profonda», ha spiegato l’assessore regionale alla Cultura Mauro Felicori.
Corsi nelle scuole e testi delle canzoni
I filoni di attività molto vari: dalle raccolte di testimonianze sonore dei parlanti più anziani in dialogo con i più giovani ai corsi di dialetto nelle scuole e nelle biblioteche, dalla promozione della tradizione canora dialettale alla trasposizione della musica folk americana in lingua locale, fino alla pubblicazione di video, podcast, volumi su carta e contenuti su web. Dal vivo ci pensano i cantanti, spesso in dialogo con il pubblico. Di maestri dialettali ce ne sono ancora, Fausto Carpani in testa, ma è sempre in pista anche Andrea Mingardi che pur non rientrando strettamente nella categoria il dialetto lo canta eccome (e scrive libri). «Si adatta perfettamente al funky», uno dei suoi talenti, «suona da Dio. Parlo al pubblico e traduco sempre».
Il documentario di Mingardi
Dal progetto realizzerà un trailer per il suo nuovo documentario: un viaggio comparato fra il bolognese e gli altri dialetti. Intanto due sere fa in piazza Maggiore Mingardi ha presentato Bologna I love you, il doc sulla storia della città, impregnato di dialetto e slang. Non solo: a fine proiezione è salito sul palco per cantare Bologna in Champions League (un po’ di dialetto anche lì, che ha tradotto in inglese per i turisti), anche per rinverdire la tradizione del Ferragosto anni ’70 con Dino Sarti, il suo Spometi e la piazza piena come un uovo (che capiva ogni sua sillaba).
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