L’aviazione commerciale contribuisce per circa il 2,5-3% sulle emissioni globali di CO2. L’81% di questo 3% è costituito dai voli passeggeri, il resto dai cargo. Ci sono poi altri effetti nocivi – le cosiddette “non-CO2 emissions” – come quelli prodotti dalle contrail, le scie di condensazione, nuvole artificiali di vapore acqueo condensato che possono formarsi e persistere a lungo al passaggio degli aerei e che oltre al vapore acqueo contengono biossido di carbonio, ossidi di azoto, monossido di carbonio, idrocarburi come il metano, solfati, particolato da combustione. In questo caso, spiega un’analisi dell’associazione europea Transport & Environment (T&E), basterebbe modificare le rotte di una minima parte dei voli – il 3% – per abbattere di oltre il 50% l’effetto climalterante delle contrail.
Il nuovo report della principale organizzazione indipendente europea per la decarbonizzazione dei trasporti spiega che il carburante addizionale utilizzato per “allungare” gli itinerari ed evitare così la formazione di scie corrisponderebbe a un incremento del solo 0,5% dei consumi, su base annua, dell’intera aviazione civile globale. I singoli voli la cui rotta andrebbe modificata, a fronte di un incremento di carburante del 5% circa, potrebbero ridurre dell’80% l’effetto climalterante delle scie.
E no, l’aumento minimale del combustibile necessario non renderebbe lo sforzo vano. Secondo l’analisi di T&E, evitare la formazione di contrail è infatti una cosiddetta “no regrets strategy”: l’effetto climatico netto è sempre positivo, “poiché i benefici derivanti dalla mancata formazione di scie sono sempre maggiori – tra le 15 e le 40 volte – degli impatti delle emissioni addizionali di CO2 generate dal cambio delle traiettorie di volo” si legge in una nota dell’organizzazione. Benefici che potrebbero aumentare con il miglioramento delle tecnologie di osservazione (satelliti e telecamere da terra), di previsione metereologica e relative ai sensori di umidità.
Fra l’altro, nello scenario proposto dall’organizzazione sono state fatte una serie di assunzioni molto conservative, che risultano in un costo stimato per la mancata formazione di scie di condensazione tra le 3 e le 10 volte superiori ad altre fonti scientifiche, con minori benefici climatici associati. Con delle assunzioni meno conservative e tuttavia verosimili, i costi sarebbero inferiori e i benefici climatici superiori, rendendo ancora più attrattiva la strategia di evitare la formazione di contrail.
Gli impatti
Tutto il discorso ruota intorno al fatto che geografia e latitudine del volo hanno una forte incidenza in termini di impatto climatico delle scie. I voli sopra il Nord America, l’Europa e la regione dell’Atlantico settentrionale, nel 2019, hanno per esempio causato oltre la metà del riscaldamento globale derivante da contrail. Anche gli orari di volo concorrono agli effetti climatici: quelle formate dai voli serali e notturni hanno infatti l’impatto maggiore. Altrettanto vale per la stagionalità: le scie con l’effetto più pronunciato tendono a formarsi in inverno.
“All’industria aeronautica viene offerto un modo semplice ed estremamente economico per ridurre il proprio impatto sul clima – spiega Carlo Tritto, Sustainable fuels manager di T&E Italia – alcuni operatori del settore tendono a ignorare il problema delle scie di condensazione ma i benefici climatici associati alla loro mancata formazione sono enormi, e le soluzioni per mitigare il fenomeno migliorano di giorno in giorno. Identificando e modificando le traiettorie di quei pochissimi voli che causano la gran parte dei contrail, possiamo avere un effetto immediato sugli impatti climatici dell’aviazione. Non è più ora di discutere se sia necessario farlo ma di come farlo“.
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