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I quali appunto per tentare di raggiungere la proporzione richiesta, si vedono costrette a ridurre la produzione dei veicoli con motore tradizionale e quindi a chiudere fabbriche che in se’ sarebbero sane e produttive. Per Wolkswagen si parla di 3 stabilimenti che stanno per chiudere con almeno trentamila posti di lavoro a rischio. Per Stellantis non è annunciata nessuna chiusura in Italia, ma ad oggi i numeri sono comunque preoccupanti: 3000 licenziati quest’anno e almeno 4000 incentivati ad “andarsene“. Oltre a turni ridotti, chiusure a rotazione di reparti, spostamenti di personale ed altre soluzioni alternative alla chiusura vera e propria.
A soffrirne inevitabilmente anche il settore accessorio dell’indotto con già nel primo trimestre del 2024 circa 32.000 licenziamenti in Europa.
La realtà della crisi nel settore automobilistico appare legata a dinamiche complesse, che includono decisioni politiche europee e l’impatto della concorrenza internazionale. In particolare, la competizione con veicoli prodotti in Cina a costi estremamente bassi – grazie a normative meno stringenti in materia di tutela del lavoro e di salute – sta mettendo in difficoltà molte aziende europee.
Questo accade nonostante la Cina sia un paese comunista che utilizza in gran parte fonti energetiche fossili, come il carbone, per sostenere la propria produzione industriale.
In questo contesto, il Green Deal europeo, sebbene animato da nobili intenti di tutela ambientale, risulta penalizzante per le economie del continente, soprattutto in assenza di meccanismi correttivi come dazi sull’importazione di beni prodotti senza rispettare standard comparabili.
Mentre l’Europa si impegna per la sostenibilità, altre nazioni emergenti, come Cina e India, continuano a utilizzare ampiamente combustibili fossili, contribuendo significativamente all’inquinamento globale. Questo squilibrio evidenzia la necessità di strategie più bilanciate, che proteggano sia l’ambiente sia la competitività delle economie europee.
Considerando i frequenti viaggi di delegazioni europee verso Cina, India, altri paesi asiatici e arabi, e il crescente protagonismo di attivisti ambientalisti e sostenitori di un’Europa sempre più contestata, viene naturale chiedersi se dietro queste dinamiche ci siano motivazioni che ancora non conosciamo.
Non va dimenticato il caso delle valigie di denaro contante emerso al Parlamento Europeo (chi non se lo ricordasse, qui: QUI link) una vicenda che ha suscitato scalpore ma che è a mio parere rapidamente caduta nel silenzio. La mancanza di aggiornamenti su questioni così rilevanti alimenta dubbi e perplessità, lasciando spazio a ipotesi su possibili retroscena ancora da chiarire.
a cura di Stefano Sforzellini
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