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Condono edilizio e opere successive: il Consiglio di Stato sul silenzio-assenso #finsubito prestito immediato


In presenza di ampliamenti volumetrici
significativi e di interventi non autorizzati, successivi alla
presentazione di un’istanza di condono, il
silenzio-assenso non si applica e
l’amministrazione può legittimamente procedere con la
demolizione delle opere abusive.

Opere successive a istanza di condono: il Consiglio di Stato
sul silenzio assenso

A confermarlo è l’interessante sentenza
del Consiglio di Stato del 12 luglio 2024, n. 6257
,
con cui Palazzo Spada ha respinto l’appello contro il diniego di
condono e l’ordine di demolizione di opere abusive eseguite su un
fabbricato di due piani, suddiviso in 5 unità immobiliari in
comproprietà, sul quale era stata presentata istanza di condono
edilizio ai sensi della Legge n. 724/1994.

L’immobile era stato oggetto di significativi interventi di
incremento della s.u. e di ampliamento volumetrico comprendenti,
tra gli altri, l’ampliamento del deposito a piano terra, una
sopraelevazione al primo piano e la realizzazione di una
mansarda.

Alla pratica di condono erano stati allegati gli elaborati
progettuali e tecnici e il preventivo nulla osta paesaggistico,
nonché le ricevute di quanto dovuto a titolo di oblazione, oneri
concessori, indennizzo paesaggistico e diritti di segreteria;
mentre inizialmente era stato proposto l’accoglimento della
domanda, il Comune aveva rifiutato la richiesta di condono sulla
base delle seguenti motivazioni:

  • operatività del regime vincolistico di cui alla L. R. Campania
    n. 21/2003;
  • mancata ultimazione delle opere;
  • incremento della superficie residenziale e del conseguente
    carico urbanistico;
  • realizzazione di ulteriori opere abusive;

Dopo il diniego di condono, aveva anche ingiunto la demolizione
delle opere.

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Da qui il ricorso, sul presupposto che sulla pratica si sarebbe
già perfezionata con la formazione del silenzio
assenso
, atteso che l’autorizzazione paesaggistica era già
stata rilasciata, la pratica era stata completamente istruita ed
era decorso il termine di cui all’art. 35 della L. n. 47/1985.
Inoltre la L.R. non era applicabile perché relativa a edificazioni
successive alla sua entrata in vigore, le volumetrie aggiuntive non
avevano reso “illeggibili” gli interventi oggetto della
domanda di condono e, infine, l’immobile doveva, comunque,
ritenersi ultimato alla data del 31.12.1993.

Infine, secondo i ricorrenti, gli interventi, consistenti
in una ristrutturazione edilizia, erano
sanzionabili ai sensi degli artt. 33 e 34 del D.P.R. n.
380/2001 non potendosi qualificare l’intervento realizzato
come in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al
titolo. Al massimo quindi poteva essere erogata la sanzione
pecuniaria
ma non quella demolitoria.

Condono edilizio e silenzio assenso: il limite alla
realizzazione di nuove opere

Dopo che il TAR aveva respinto il ricorso, il Consiglio di Stato
ha fatto altrettanto, muovendo proprio dagli interventi successivi
alla presentazione della domanda di condono.

Spiega Palazzo Spada che trova applicazione il disposto di cui
all’art. 35, comma 28, della L. n. 47/1985, richiamato dalla regola
di cui all’art. 39, comma 1, della L. n. 724/1994, secondo cui
decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e,
comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, il
presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in
sanatoria può completare sotto la propria responsabilità
” le
opere oggetto della domanda; a tal fine, “l’interessato
notifica al Comune il proprio intendimento, allegando perizia
giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo
stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta
giorni dalla data della notificazione
”.

In definitiva, la pendenza dell’istanza di condono non
preclude in assoluto la possibilità di intervenire
sugli
immobili rispetto ai quali pende l’istanza stessa, ma impone, a
pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per
l’immobile abusivo cui ineriscono, che ciò debba avvenire nei
limiti e nel rispetto delle procedure di legge.

Nel caso di specie, risultano realizzate numerose opere prive di
titolo, incidenti anche in modo significativo sulla superficie e
sulla volumetria del complessivo immobile, motivo per cui si
applica il principio “quando l’immobile abusivo non è meramente
integrato, ma è radicalmente sostituito da un altro edificio,
l’istanza di condono già proposta va dichiarata improcedibile
stante la radicale trasformazione dell’oggetto
originario
”.

Per altro, spiega il Consiglio, era sostanzialmente impossibile
scorporare le precedenti opere di cui alla domanda di condono
rispetto alla struttura nella sua attuale consistenza, avendo
inciso sulle complessive caratteristiche planivolumetriche e di
sagoma dell’intero immobile, con la realizzazione di un
organismo edilizio nettamente diverso rispetto a quello
originario
, e interessando, tra l’altro, i piani ove erano
già stati realizzate le opere senza titolo oggetto della domanda di
condono.

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Silenzio assenso su domanda di condono: i presupposti

Ad ogni modo, non è comunque, predicabile l’intervenuta
formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono. Infatti,
secondo la costante giurisprudenza amministrativa, perché possa
formarsi il silenzio-assenso su un’istanza di condono edilizio, il
termine di ventiquattro mesi decorre dalla
presentazione della medesima domanda, a condizione che la stessa
risulti completa in ogni sua parte.

Inoltre, il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto
del silenzio assenso soltanto se la domanda di sanatoria presentata
possegga i requisiti soggettivi e oggettivi per essere accolta, in
quanto la mancanza di taluno di questi impedisce in radice che
possa avviarsi il procedimento di sanatoria, in cui il decorso del
tempo è mero co-elemento costitutivo della fattispecie
autorizzativa.

Di fatto, la radicale trasformazione dell’immobile operata
mediante l’esecuzione di ulteriori opere prive di titolo edilizio
rende insussistenti i requisiti oggettivi richiesti per
l’accoglimento dell’istanza, precludendo la formazione del
silenzio-assenso.

Ordine di demolizione: atto dovuto e vincolato

Inoltre, ricorda Palazzo Spada, l’ordinanza di demolizione
di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e
rigorosamente vincolato
, con la conseguenza che è
dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione se contiene la
descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro
abusività.

Ne consegue che non è necessario che l’amministrazione individui
un interesse pubblico – diverso dalle mere
esigenze di rispristino della legalità violata – idonee a
giustificare l’ordine di demolizione.

Tali principi valgono anche nel caso in cui l’ordine di
demolizione venga adottato a notevole distanza di tempo dalla
realizzazione dell’abuso, atteso che a fronte della realizzazione
di un immobile abusivo non è configurabile alcun affidamento del
privato meritevole di tutela; l’Adunanza Plenaria di questo
Consiglio di Stato ha infatti chiarito che “il provvedimento
con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un
immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua
natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi
presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in
ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle
inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la
rimozione dell’abuso neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di
demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione
dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e
il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di
ripristino”.

Sanzione pecuniaria: quando si applica

Infine, la sanzione pecuniaria rappresenta una misura
prevista per l’eventuale inottemperanza all’ordinanza e, quindi,
applicabile solo all’esito dell’apposito procedimento di
accertamento del mancato adempimento e di verifica della
colpevolezza del destinatario dell’ordine.

Tenendo conto che gli interventi hanno determinato notevoli
incrementi di superficie e volume della struttura originariamente
assentita, conducendo, quindi, ad un manufatto in totale difformità
rispetto a quello che era consentito realizzare, è stata
correttamente applicata la sanzione demolitoria di
cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.

Né tale conclusione è revocabile in dubbio evocando la
disciplina di cui all’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei
Beni Culturali e del Paesaggio), che attiene alla concorrente
sanzione per violazione della normativa paesaggistica, la quale non
esclude l’applicazione delle disposizioni relative alla repressione
dell’attività edilizia senza titolo.





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