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Una norma fiscale che rischia di isolare l’Italia dalla rete globale dell’innovazione #finsubito prestito immediato


Una recente circolare dell’Agenzia delle Entrate, la Circolare 20/E del 4 novembre 2024, emanata a seguito del Decreto Legislativo 27 dicembre 2023, n. 209, rischia di allontanare dall’Italia migliaia di professionisti altamente qualificati (e ben retribuiti), attratti dal nostro Paese per le sue bellezze culturali, paesaggistiche e qualità della vita. Non si tratta solo delle giovani generazioni di esperti in settori di avanguardia, ma anche di lavoratori più maturi e persino pensionati, che continuano a contribuire all’economia dell’innovazione con consulenze e condivisione di esperienza e conoscenza. A soffrirne di più potrebbero esserne proprio quelle regioni italiane meno industrializzate, che puntavano ad attrarre forza lavoro qualificata internazionale facendo leva su bellezze naturali, arte e una qualità di vita superiore. In città storiche e paesini medievali di cui l’italia è ricchissima, questa presenza porta vitalità e un sostegno concreto all’economia locale. L’Italia si stava proprio progressivamente affermando come meta di interesse per questi lavoratori mobili, ma le recenti modifiche fiscali rischiano seriamente di rendere insostenibile la loro permanenza.

 

La questione della residenza fiscale

La Circolare 20/E descrive come le nuove norme ridefiniscono la residenza fiscale in Italia sia per le persone fisiche che per le società. Secondo la normativa, una presenza fisica in Italia per oltre 183 giorni in un anno rende automaticamente un lavoratore straniero fiscalmente residente in Italia. Questo principio, già adottato da molti Paesi in forme molto simili, allinea l’Italia agli standard internazionali. Tuttavia, l’aspetto nuovo, e potenzialmente devastante, riguarda la componente aziendale: se un amministratore o un lavoratore che si incarica della gestione ordinaria di una società estera risiede in Italia, la società stessa può essere considerata fiscalmente residente in Italia, con obbligo di assolvere i relativi oneri fiscali, contributivi e amministrativi italiani.

 

Per i digital nomads internazionali stabiliti in Italia, molti dei quali freelance o titolari di società individuali all’estero, questa regola rappresenta un cambiamento preoccupante. Questi professionisti – attivi in settori come tech, fintech, intelligenza artificiale, consulenza, marketing digitale, social media, med tech, cybersicurezza e altri ambiti in cui l’Italia registra una carenza di competenze – sono abituati a operare da remoto nel nostro paese, mantenendo però la residenza fiscale delle loro società in paesi terzi. Finora, un digital nomad residente temporaneamente in Italia pagava in Italia le imposte sul reddito personale, mentre l’azienda individuale continuava a versare tasse e contributi nel paese di registrazione. Con la nuova disposizione, tuttavia, le società potrebbero essere considerate residenti in Italia solo perché gestite da qui. Ciò implicherebbe non solo un significativo incremento della pressione fiscale, ma anche l’assunzione di obblighi burocratici italiani onerosi e complessi, sottraendo tempo prezioso al lavoro e scoraggiando questi professionisti dall’insediarsi stabilmente nel nostro Paese. Oppure, per continuare a beneficiare della normativa fiscale estera, un digital nomad sarebbe quindi costretto a nominare un amministratore non residente in Italia, con un conseguente aumento dei costi di gestione aziendale.

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Una risorsa economica ad alto valore

Nel mondo, si stima che circa 35 milioni di lavoratori rientrino nella categoria dei digital nomads e che il loro numero sia in rapida crescita. Il reddito medio annuale di un nomade digitale si aggira tra i 60.000 e i 100.000 euro, per un valora economico complessivo compreso tra i 2.100 e i 3.500 miliardi di euro (contando solo il reddito, al quale andrebbero sommate le migliaia di miliardi di euro provenienti dal valore aggiunto della creazione di beni e servizi ai quali contribuiscono). Si tratta di persone con un elevato potere d’acquisto che contribuiscono in modo significativo all’economia locale e globale. In Portogallo, per esempio, dove i digital nomads beneficiano di incentivi fiscali e visti di lungo termine come il “D7”, Lisbona ha visto un aumento della popolazione di lavoratori mobili con un impatto economico diretto stimato in miliardi di euro nel 2023. Questa comunità è una risorsa che contribuisce a dinamizzare l’economia e a creare ecosistemi d’innovazione locali, con vantaggi per settori che spaziano dalla tecnologia al turismo.

 

Altri Paesi seguono una strada simile. Il Messico, ad esempio, offre il visto di residenza temporanea, che permette di soggiornare fino a quattro anni. Con città vibranti come Città del Messico, Playa del Carmen e Tulum, che ospitano comunità di expat e lavoratori da remoto, il Paese è popolare per il basso costo della vita e per la vita sociale dinamica. La Georgia, con il programma Remotely from Georgia, consente ai lavoratori da remoto di rimanere fino a un anno, con una tassazione favorevole che può scendere all’1% in determinate condizioni, in un contesto di costi contenuti e paesaggi attrattivi. La Thailandia ha esteso il proprio Smart Visa, inizialmente riservato a professionisti altamente qualificati, anche ai digital nomads in ambiti tecnologici. Città come Bangkok e Chiang Mai sono rinomate per i loro spazi di coworking e l’accessibilità economica. Infine, Barbados con il suo programma Welcome Stamp offre un visto di un anno, rinnovabile, per i lavoratori da remoto, promuovendo uno stile di vita accattivante e l’esenzione fiscale per i redditi prodotti al di fuori dell’isola.

 

L’Italia tagliata fuori dall’innovazione globale ?

L’Italia ha tutte le carte per attrarre digital nomads da tutto il mondo: un patrimonio culturale unico, un’offerta storica ed artistica di alta qualità, una qualità della vita tra le migliori al mondo, un clima mite, centri di ricerca ed università di punta, per citarne solo alcuni. Questi professionisti, con redditi medi e alti, portano valore all’economia: affitti, spese locali, servizi, divertimento. Già oggi, i nomadi digitali pagano le imposte sul reddito personale e spendono nelle economie locali; la loro permanenza più lunga, oltre che economicamente vantaggiosa per l’Italia, porta competenze e know-how. Tuttavia, la nuova normativa, che costringe anche le società individuali di questi lavoratori a rientrare sotto il regime fiscale italiano, non solo li spinge a riflettere sulla propria permanenza, ma rischia di far perdere all’Italia il valore aggiunto dell’innovazione portato da questa comunità… che non solo, per quelli già presenti sul territorio, ci metterebbe ben poco a chiudere baracca e burattini e spostarsi altrove, ma dirotterebbe verso altre destinazioni quelli che stavano pensando al bel paese come possibile destinazione.

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Se l’Italia vuole competere nella nuova economia dell’innovazione, deve incentivare, non ostacolare, l’arrivo di digital nomads. Oggi la concorrenza tra paesi per attrarre questi professionisti è serrata. La Spagna, ad esempio, offre agevolazioni fiscali per lavoratori stranieri che contribuiscono all’innovazione, mentre la Croazia ha introdotto un visto per il lavoro remoto. Ignorare questa tendenza significa che l’Italia rischia di escludersi dalla lista delle destinazioni preferite dai digital nomads, rinunciando a una fetta significativa di economia globale basata su competenze avanzate e innovazione.

 

Una regolamentazione mirata che separi la residenza fiscale personale da quella societaria potrebbe preservare il gettito fiscale delle persone fisiche e incentivare questi professionisti a stabilirsi in Italia senza appesantire il carico fiscale delle loro aziende. Se non si interviene rapidamente, la nuova norma allontanerà un’intera coorte di lavoratori qualificati, erodendo le possibilità di crescita e innovazione per il futuro dei nostri figli. Il rischio è tagliare fuori l’Italia dai circuiti globali del lavoro qualificato, compromettendo non solo il presente, ma anche l’economia del domani.

 

 

*Salvino A. Salvaggio, PhD, molisano, già Capo di Gabinetto all’estero, è esperto di gestione di grandi progetti e investimenti in innovazione, ex-direttore del maggiore hub per l’innovazione del Medioriente. Recentemente ha anche pubblicato un manuale di management degli enti culturali; a breve ne pubblicherà un secondo sulla trasformazione digitale.





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