Qual è il sostegno ipotizzabile per chi decide investimenti nelle comunità energetiche? L’ipotesi di avviare una CER è viva in molti soggetti privati, oltre che pubblici. Si sa che le PMI possono essere tra i membri aderenti alle comunità energetiche rinnovabili. C’è il contributo a fondo perduto del 40%, finanziato dal PNRR e rivolto alle comunità realizzate nei comuni sotto i 5mila abitanti, alcune regioni hanno avviato bandi. Ma come ci si può orientare per contare su un sostegno finanziario?
«Ci sono vari elementi che incidono sull’economicità, sulla profittabilità dell’investimento», ha spiegato Giuseppe Dasti, responsabile Desk Energy & Utilities, Direzione Sales & mercato Imprese di Intesa Sanpaolo, in occasione di un recente convegno organizzato da ANIE Rinnovabili. «Il primo elemento è il livello di autoconsumo. Il secondo elemento riguarda la parte di energia eccedente messa in rete, quanta di questa va a determinare l’energia condivisa all’interno di una comunità energetica, quanto anche determini in termini di corrispettivo».
Lo stesso Dasti ha portato un paio di esempi illuminanti sulle opportunità aperte dalle CER per le imprese.
I vantaggi delle comunità energetiche per le imprese aderenti
Il primo esempio riguarda un’impresa (prosumer) del nord Italia che aderisce a una comunità energetica. La realtà in questione realizza un impianto fotovoltaico da 500 kW, con una produzione annua di 575mila kWh. Viene ipotizzato un costo dell’investimento pari a 500mila euro, costi operativi annui stimati in 13mila euro l’anno e un autoconsumo diretto pari al 75%.
«Questo è il classico esempio di un imprenditore artigianale, una PMI, che decide di realizzare un investimento fotovoltaico con un profilo di consumo importante. Entrando in una CER, l’energia auto prodotta viene auto consumata direttamente dal lunedì al venerdì, il resto (sabato, domenica, festivi e ferie estive) va alla comunità energetica, costituendo il restante 25%».
Il risparmio medio annuo da autoconsumo sarà di 0,20 €/kWh, al netto di IVA, per i primi dieci anni. Il prezzo medio di vendita in rete sarà di 0,09 €/kWh (per i primi 10 anni).
Del totale di energia immessa in rete, il 50% viene condivisa. L’incentivo sull’energia condivisa più i corrispettivi di ARERA arrivano a 131 €/kWh.
L’EBITDA (margine operativo lordo) di questo investimento è di 86mila euro, a prescindere dalla comunità energetica. «Dovesse aderire alla CER, considerando gli assunti prudenziali, l’imprenditore ha un vantaggio di ulteriori 4mila euro. È una cifra poco significativa, non cambia la vita della PMI. Ma perché in questo esempio il contributo di adesione alla comunità energetica è modesto? Perché è il quantitativo di energia eccedente è modesto», ha rilevato Dasti, segnalando che il tempo di ritorno (payback time) dell’operazione, aderendo alla CER, è di 6,4 anni. Senza aderire, arriva a 6,7 anni, quindi non cambia molto. Da notare l’IRR (tasso interno di rendimento), che è pari al 16,9% aderendo alla comunità (16,1% senza CER), una percentuale che contraddistingue un buon investimento.
Lo stesso esperto consulente di Impresa San Paolo ha messo in luce, inoltre, gli effetti sui risultati forniti dall’analisi di un progetto di investimento, contando su un autoconsumo al 25%. In questo caso il payback time raggiunge un tempo stimato in 8,3 anni se si aderisce a una CER, che raggiunge i 9,6 anni senza. Quindi, il contributo incentivante della CER diventa più significativo: senza aderire alla comunità energetica, il tempo di ritorno sale a un anno e mezzo in più.
Vantaggi per produttori terzi: l’esempio di una ESCo
Un esempio opposto, sempre in termini di interesse economico delle comunità energetiche per le imprese, riguarda una Energy Service Company. «La ESCo può aderire come produttore terzo di una CER», ha ricordato il responsabile Desk Energy & Utilities di Intesa San Paolo. Nell’esempio non c’è autoconsumo: tutta l’energia prodotta è interamente immessa in rete.
Anche in questo caso l’esempio è stato tarato su un impianto da 500 kW per una produzione annua da 575mila kWh. Il costo dell’investimento è di 400mila euro, mentre i costi operativi salgono a 20mila euro l’anno.
In questo caso i ricavi medi da vendita in rete dell’energia elettrica sono stati stimati in 52mila euro, mentre l’EBITDA raggiunge i 32mila euro.
«Nel momento in cui aderisce a una CER, mettendo nella disponibilità della comunità il 50% dell’energia, c’è un beneficio di circa 15mila euro l’anno. Quindi l’EBITDA passa a 47mila euro».
La ratio di questa operazione si chiarisce bene guardando al payback time, che da aderente alla CER raggiunge i 9,1 anni. Senza, il tempo di ritorno all’investimento è decisamente più lungo: 13,2 anni. In termini di IRR, il progetto con CER è del 9.5%, mentre senza è del 4,15%, ossia la metà. «Naturalmente, questi numeri dipendono dal livello di produzione e dai costi del CAPEX», ha ravvisato Dasti, aggiungendo che se dovesse aumentare il livello di produttività dell’impianto, crescerebbero i valori ratio dell’operazione. C’è sempre da considerare la quota di riparto dell’incentivo a favore dell’impresa, pari al 40% e, in particolare, va anche considerata l’esposizione al rischio della volatilità del prezzo, un elemento non certo indifferente.
Finanziare le CER: il ruolo delle banche e i fattori da considerare
C’è una difficoltà per il sistema bancario a finanziare direttamente le CER che volessero fare degli investimenti? «Innanzitutto, bisogna pensare a chi effettua l’investimento. Si devono considerare due aspetti: il primo è il merito creditizio dell’investitore finale, il beneficiario del finanziamento. Le CER prevedono una platea estremamente eterogenea. Pensiamo all’associazione non riconosciuta. Non è possibile ricorrere sui soci, non si possono avere garanzie pubbliche, non c’è patrimonio… Alla banca possono presentarsi diversi soggetti, con meriti creditizi profondamente differenti».
Di un’impresa può essere valutato il diritto creditizio, per una amministrazione pubblica, si può valutare una procedura di partenariato pubblico-privato. Nel caso di un Ente del Terzo Settore, dallo scorso gennaio è entrata in vigore la riforma del Fondo di garanzia per le PMI in applicazione del cosiddetto DL Anticipi, possibilità aperta sia per gli ETS sia per gli enti religiosi, «ma è ancora limitato l’importo cui accedere».
Oltre al merito creditizio vanno valutate le caratteristiche del progetto. Nel caso dell’esempio della ESCo, ci sono due elementi di rischio: la volatilità del prezzo dell’energia, che va a determinare la voce riguardante i ricavi medi da vendita in rete; c’è poi da considerare che «neppure i 15mila euro di EBITDA conseguente all’adesione a una CER sono certi. Dipendono da una serie di fattori difficili da valutare nel tempo. Si devono considerare diversi elementi: la comunità energetica, il suo statuto, la composizione, i membri, il regolamento…Quindi, occorre cogliere la complessità di un’operazione project, che va valutata in tale ottica», ha concluso Dasti.
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